Sappiamo bene quanto la Romagna abbia da offrire alle nostre tavole: grazie alle delizie del suo entroterra e ai frutti del mare Adriatico, questo territorio non smette di appagare i palati non solo degli italiani ma del mondo intero. Certo, la piadina romagnola rimane il piatto simbolo di questa cucina, ma è proprio grazie al pesce che in queste zone ha preso forma e si è sviluppata una pietanza di prim’ordine…
Ci riferiamo al fritto di paranza, una vera e propria specialità che chiunque visiti Riccione e dintorni non può esimersi dal mangiare! In questo articolo parleremo proprio di questa croccante preparazione, delle origini etimologiche del termine e del tipo di pesce che ci serve per poterlo eventualmente tentare di replicare per provare a godervi i sapori della riviera anche nella cucina di casa vostra.
Cos’è la paranza e da dove trae il suo nome?
A tante persone piace la paranza, ma in pochi sanno da dove arriva questo bizzarro nome; Daniele Silvestri gli ha addirittura dedicato una canzone, descrivendola in una strofa come “una danza che ebbe origine sull’isola di Ponza”. Beh, gli concediamo questa simpatica licenza poetica, ma non c’è nulla di più sbagliato: originariamente infatti la paranza era un termine che indicava un particolare modello di imbarcazione a vela, che i pescatori utilizzavano per catturare i pesci di piccola taglia grazie a delle enormi reti a strascico.
Questo peculiare vascello viene utilizzato per la sorveglianza delle coste del basso Adriatico fin dal lontano 1200; per un certo periodo di tempo, inoltre, con il termine paranza si identificava una precisa porzione di litorale compresa fra due torri costiere. Arrivati ai giorni nostri, tutti questi significati alternativi sono andati perduti e con paranza si intende semplicemente la frittura del pesce raccolto grazie a questa nave: un piatto “povero”, ma così ricco di sapori e profumi da essere diventato un vero classico della riviera Romagnola.
Fortunatamente, le reti che si utilizzavano all’epoca sono state sostituite in favore di metodi meno dannosi per i preziosi fondali marini di queste zone; una serie di leggi precise e severe regolamentano questo tipo di pesca, obbligando i pescatori a non avvicinarsi mai a meno di tre chilometri dalla costa e a utilizzare strumenti non invasivi. Grazie a loro, il miglior pesce dell’Adriatico raggiunge quotidianamente prima i mercati del pesce, poi le nostre cucine e in seguito – finalmente – le nostre pance!
Cucinare la paranza in pieno stile Romagnolo
Ma come si ottiene una vera paranza romagnola? Innanzitutto il pesce: merluzzi e triglie, sogliole e lattarini, alici e moscardini… la ricetta tradizionale comprende unicamente esemplari di piccola taglia, il cosiddetto “pesce di paranza” per l’appunto. Una delle regole non scritte prevede l’utilizzo di pesciolini – rigorosamente adulti – dalle dimensioni comprese fra i sette e i dieci centimetri. La pelle di questi pesci, ricca di zuccheri, tende a permettere la formazione di una deliziosa crosta croccante in fase di frittura.
Preparare una paranza potrebbe sembrare a prima vista molto semplice: il pesce non deve essere eviscerato (fatta eccezione per gli eventuali esemplari più grandi) né squamato, ma semplicemente passato nella farina e fritto. Sarà l’olio bollente a fare il resto, provvedendo a fornire al tutto quella particolare e prelibata doratura; a cottura terminata, il pesce fritto andrà scolato e posato su della carta assorbente. La paranza è pronta e non vi resta che gustarvela per bene: l’unico consiglio è quello di mangiarla il più calda possibile, insaporendola ulteriormente con una spruzzatina di limone.
I segreti della frittura e il vino ideale per accompagnare una paranza
Per quanto possa sembrare facile, cucinare una paranza perfetta presenta in realtà diverse insidie: la tecnica di frittura, per esempio. La più indicata è quella che avviene per immersione; così facendo, i pesci vengono immersi totalmente nel grasso e ciò contribuisce alla formazione di una panatura ottimale (e aiuta la carne sottostante a cucinarsi a puntino, senza assorbire olio in eccesso). Per ottenere un risultato ottimale l’infarinatura non dovrà mai essere eccessiva: sarà sufficiente una leggera velatura di farina doppio zero.
Anche la temperatura dell’olio gioca un ruolo fondamentale in questo processo: per la paranza i valori ottimali si attestano intorno ai 180° C; nel caso fossero inferiori, il pesce rischierebbe di impregnarsi di grasso mentre a temperature più elevate tenderebbe a bruciarsi. Entra qui in gioco quello che in cucina viene chiamato il “punto di fumo”, ovvero la temperatura raggiunta la quale il grasso si ossida; per conoscere nel dettaglio questo ed altri segreti, comunque, vi invitiamo a leggere il nostro articolo su come ottenere una frittura perfetta.
Per concludere questo nostro vademecum sul mondo della paranza e della frittura di pesce manca solo un ultimo, fondamentale dettaglio: con quale vino possiamo accompagnare la nostra esperienza culinaria? Il nostro consiglio è quello di optare per un vino bianco ad alta gradazione, perfetto per asciugare l’olio del fritto e per equilibrare la sapidità del piatto. Non serve andare molto lontani: procuratevi una bottiglia di Trebbiano di Romagna, magari nel corso di un tour enologico del Riccionese.
Non ve ne pentirete!